“Sono molto lieta di fare la vostra conoscenza, miei cari lettori, mie care lettrici. Perché ho una storia speciale da raccontare, un po’ segreta, e se non la racconto potrei scoppiare!!! Non avete mai provato questa strana sensazione, che una cosa la dovete proprio dire a qualcuno?”
«Marì si è affacciata nella mia immaginazione inaspettata e all’improvviso, in sella alla sua Bicizucca. Volava in quella parte della Val di Magra che io avevo sotto gli occhi tutti i giorni: le distese di alberi, il solco del fiume, le cime rocciose degli Appennini, che dentro di me avevo sempre chiamato le Grandi Signore.
Non vi dico il mio stupore: che ci faceva nella mia immaginazione quella ragazzina? Eppure era lì, e pedalava allegra sfiorando le cime degli alberi con la sua Casazucca volante, e quella allegria la trasmetteva anche a me. Si capiva subito che era piena di energia e di curiosità. E, a quanto pare, conosceva benissimo quel paesaggio che anch’io avevo imparato a conoscere in tutte le sue sfumature, in tutte le stagioni dell’anno, con la pioggia o col bel tempo.
Stavo vivendo un momento piuttosto drammatico della mia vita, e avevo bisogno di nuovi stimoli. Dovevo seguirla, prestarle la mia penna, scrivere la sua storia. Così tutto è cominciato.
La vicinanza di Marì mi ha insegnato a cercare la parte positiva delle cose, a escludere dai miei pensieri le frasi “è tutto inutile – tanto ormai – non sono all’altezza di…- sono troppo sfortunata – non sono in grado – ho troppa paura - ….”. Se si affacciano, e qualche volta si affacciano, e qualche volta anche pesantemente, le caccio via con la scopa: via, via, sciò.
Marì mi ha insegnato a lottare per raggiungere i miei obiettivi, con una fiducia che non deve crollare.
Girano dappertutto troppi messaggi disfattisti, troppa rassegnazione. Invece ognuno, cominciando dal suo piccolo ambito, può fare qualcosa, può indirizzare la sua vita verso un progetto grande. Magari grande come l’intera Terra.
Quindi questo libro per me è un libro di “guarigione”: guarigione dalla sfiducia, dallo scetticismo, dal lasciarsi andare al solito modo di vivere. È una chiamata alla riscossa, alla raccolta delle forze per poi indirizzarle verso una ricerca che forse non finirà mai, ma che è lo scopo e il riscatto della vita. E, nello stesso tempo, valorizza la capacità di dare e di accogliere l’altro da sé, imparando ad ascoltarlo con rispetto, a criticarlo solo se e quando è veramente necessario, e allora sì, con coraggio.
Quella energia positiva, costruttiva, che però è capace di giudicare e di discernere, si intende, quella speciale emozione che Marì mi aveva portato, spero di averla condivisa colle mie lettrici e i miei lettori.»
«Questa è davvero una bella domanda. Quando ho deciso di prestarle la mia penna, l’avevo solo vista volare con la Bicizucca! Non sapevo qual era la sua storia! Come avrei fatto a scoprirla?
Visto che era apparsa nella mia immaginazione, dovevo investigare dentro di me, nel mio mondo interno, inseguirla.
E ora faccio una piccola digressione, per spiegarmi meglio.
Certe volte, quando ci sentiamo vuoti, abbiamo l’impressione di non avere un nostro mondo interno. Oppure il nostro mondo interno lo conosciamo bene, però ci pare stretto e poco ospitale … oppure pieno di cose di poco conto. A volte lo sentiamo desolato, come una periferia abbandonata.
Ma anche in questo caso non ci dobbiamo scoraggiare: imparando a guardare meglio, senza impazienza, scopriamo che questo mondo c’è, e non è poi così male. Lo possiamo ripulire dalle scorie. Lo possiamo seminare, così può fiorire come un giardino che finalmente viene coltivato. Lo possiamo anche pilotare, e così si allarga e si allunga secondo le necessità del nostro pensiero, un po’ come la Stanza delle Necessità di Harry Potter. Quando questo succede, è una sensazione molto emozionante. Qualcuno di voi certamente questa sensazione in qualche modo la conosce, forse senza esserne del tutto consapevole (ognuno naturalmente ha il suo modo di far fiorire il suo giardino, personalissimo, come le impronte digitali). Si può chiamare intuizione, si può chiamare fantasia … anche gli scienziati la usano, se no come farebbero a inventare cose che non esistevano prima?
Ora quindi capirete che, nel momento in cui mi sono posta la domanda “qual è la storia di Marì?”, il mio mondo interno si è allargato e piano piano è affiorata la risposta: Marì certamente veniva da lontano, da un mondo diverso.
Quindi Marì era una extraterrestre? No, no, di questo ero proprio sicura, era una terrestre come tutti noi.
Mumble mumble … Ecco affiorare la risposta: veniva da Stramonio, una luna di Juppis. A Stramonio era stata installata, in grande segretezza, una colonia di scienziati terrestri, alle prese con particolari esperimenti. Marì era stata riportata sulla Terra per una questione di sicurezza, l’avevano deciso i suoi genitori.
Ah, ecco perché Marì vede il nostro mondo con occhi curiosi, mi sono detta! Quello che a noi sembra banale, ci dice poco, lo vede con grande partecipazione perché non ci è abituata, per lei tutto è nuovo.
Se ci pensate, assomiglia a tutti noi che abbiamo attraversato la prigionia del Covid e ora abbiamo voglia di riscoprire il mondo di prima, quello normale. Persino la scuola in presenza diventa una esigenza, un diritto da richiedere con le manifestazioni degli studenti. Chi lo avrebbe pensato, solo due o tre anni fa!»
«Prima di tutto vorrei precisare che quelle caratteristiche non nascono da una mia invenzione, ma dalla mia osservazione. Marì mi si è presentata in un modo ben preciso, e io come autrice ho dovuto necessariamente descriverla così come era.
Queste qualità, così come le ho viste, le trasmetto fedelmente alle mie lettrici e ai miei lettori.
Eccole quindi:
Marì è curiosa e decisa.
Curiosa: non è la curiosità del gossip, ma è la voglia di scoprire cosa si nasconde dietro un “mistero”, grande o piccolo che sia, per ampliare la propria conoscenza, saperne di più sul mondo. È la stessa “curiosità” che spinge un bambino piccolo a chiedere ai genitori, ai fratelli più grandi: perché? Sempre, instancabilmente. È quella spinta conoscitiva che fonda le piccole scoperte quotidiane, ma anche ogni grande scoperta, ogni grande sapere.
Decisa: Marì cerca di raggiungere i propri obiettivi, piccoli o grandi che siano, e anche nei momenti più difficili non si scoraggia. Cerca sempre una via di uscita, scopre soluzioni intermedie, che la avvicinano alla meta.
Queste sono le due qualità che la caratterizzano fin dall’inizio.
È interessante vedere come altre sue caratteristiche emergano nel corso della storia, in seguito alle sue decisioni, alle sue azioni. Per Marì l’avventura raccontata nel primo libro è una sfida, una prova importante.
In effetti noi non conosciamo tutte le nostre potenzialità, finché non ci mettiamo alla prova. Quasi sempre è la vita che ci sfida, a volte capita che siano sfide molto pesanti da accettare. Le sfide terminano solo quando finisce la nostra esistenza.
Quindi, nel corso della vicenda, scopriamo che:
È generosa, disposta a rischiare in prima persona: si mette in gioco personalmente per la salvezza della Valle, anche quando il pericolo è quasi certo e imprevedibile, sa vincere la paura.
Sa chiedere aiuto a chi ne sa più di lei. Riconosce la competenza di altri, quando la incontra. Anche se questi altri sono alberi, personaggi fantastici, animali o passatidilà.
Lei prima ascolta, poi giudica secondo i criteri che possiede, naturalmente.
Può sbagliare, ma in genere riconosce i propri errori senza sentirsi troppo umiliata, senza negarli. Difficilmente si arrabbia, con gli amici, se succede la sua irritazione dura poco. Marì non si sente incompresa, ha una sua sicurezza personale, quindi per lei è semplice seguire una propria via senza esprimere rabbia o rancore. La fanno indignare le ingiustizie … ma l’indignazione è diversa dalla rabbia! Lo sapete, non è vero?
Sa persuadere. È attraverso la persuasione che convince i ragazzi di Busaltica a rinunciare ai propri pomeriggi di piacevole ozio per mettersi in gioco e lavorare per la Valle. Persuade le persone perché ci crede, ci mette il cuore.
Valorizza l’amicizia, pensa al bene degli amici. E nel corso della storia amplierà le sue conoscenze, si aprirà a quei ragazzi suoi coetanei che forse la intimidiscono un po’, ma anche la attirano tanto.
Marì mi ha insegnato a coltivare la capacità di accogliere l’altro da sé, imparando ad ascoltarlo con rispetto, a criticarlo solo se e quando è veramente necessario, e allora sì, con coraggio e decisione.
Naturalmente, come tutti noi, ha anche dei difetti: quando si impunta su qualcosa è un po’ petulante, insistente.
Inoltre non sempre valuta le conseguenze di quello che sta facendo, spesso si butta sparata …
A volte è persino troppo ottimista, forse un po’ sempliciotta, nel secondo libro dovrà fare i conti con questo aspetto.
Inoltre … ma lo dico solo a voi, mi raccomando, acqua in bocca … a volte i suoi calzini non sono proprio freschi di bucato!
E forse le sue lettrici e i suoi lettori di difetti ne scoveranno altri … va beh, c’è di peggio al mondo!»
«In effetti è una questione che mi sono posta.
Quando ho dovuto esprimere nella lingua italiana il mio contatto coi lettori, ho trovato, come tutti sappiamo, vocaboli ambigenere (ragazzi, lettori) declinati al maschile. Da qui la necessità di rivolgermi esplicitamente anche alle lettrici, a cui certamente è dedicato il libro.
Mi è venuto naturale scrivere un racconto in cui la protagonista è una ragazza che decide, agisce. E devo dire che mi è piaciuto. Quando ero io una ragazzina ho letto una tonnellata di libri, quasi tutti con eroi maschili. Erano entusiasmanti, mi piaceva conoscere quel mondo. Però … io con chi mi potevo immedesimare?
Il mio però non vuole essere un libro solo per ragazze, è indirizzato anche a un pubblico maschile. Penso che sia importante che i ragazzi maschi leggano anche libri che hanno per protagoniste delle ragazze, così imparano a conoscere il loro modo di pensare, a rispettarle fin dalla più giovane età … in fondo questi due mondi si devono incontrare, nel rispetto reciproco (e questo non lo penso solo io, anche importanti psicologi dicono qualcosa di simile).
So che la questione della resa letteraria del genere è spinosa, e prevede ulteriori possibilità. Scusatemi, io mi sono fermata qui.»
«Quando ho incominciato a scrivere le storie di Marì, ho saputo fin dal primo momento che le avrei ambientate nella Vallesmilza, cioè una Val di Magra un po’ reale e parecchio fantastica, e questo per un motivo molto semplice: quando si era presentata a me, Marì volava sulla Vallesmilza, e non in un mondo fantastico. Non c’era scelta: non potevo fare altro che portarmi sulle sue tracce, in quel mondo che era il suo ed era anche molto mio.
Da quel luogo non la sapevo proprio separare. E poi quel luogo non era solo quel luogo, diventava la metafora di tutti i luoghi della Terra … un po’ complicato da spiegare a parole, ma credo che si possa intuire cosa voglio dire …
Ambientare una storia parecchio fantastica nel mondo reale porta delle complicazioni!
Probabilmente come autrice mi stavo complicando la vita!
Avrei potuto scegliere di far passare i miei personaggi attraverso un tunnel magico, oppure farli entrare nella cavità di un enorme albero, e allora sarebbero sbucati in un mondo parallelo, un mondo magico, alternativo al nostro, in cui tutto diventava possibile.
Io però ero convinta (e lo sono tutt’ora), che Marì vedesse proprio nel nostro mondo, quello di tutti i giorni, la magia che noi non vediamo. Con la sua freschezza di adolescente. Con la sua semplicità priva di elaborazioni intellettuali, ma piena di buonsenso. Con la sua personale magia, quella che tutti possiamo avere, basta che registriamo meglio i nostri occhi.
Sicuramente, come abbiamo già detto, questo le succedeva anche perché lei veniva da Stramonio, la colonia terrestre segretissima, dove tutto era artificiale e supertecnologico, dove l’erba era sintetica, i bambini e gli animali erano per lo più virtuali e il sole era una proiezione che si alzava e si abbassava a comando. Così Marì scopre per noi la magia che si nasconde in un albero, in una grotta, in un paesaggio …»
«Ma no, certamente! Questa è la frase che descrive alle lettrici e ai lettori la Vallesmilza:
“Care amiche, cari amici, eccola lì la Vallesmilza, una pigra valle che si stende alla pioggia e al sole dal passo della Ghisa a nord, fino alla piana di Safrana.”
Cosa si intende per “pigra”? Non certo “fannullona”. Vuole dare piuttosto l’idea di una valle che, sdraiata al sole e alla pioggia, sa godersi le stagioni con tranquilla serenità: richiama l’inglese slow. Il contrario della congestione, del traffico caotico di certe grandi città, troppo anguste per il respiro degli esseri umani. In effetti, sul fiume che la attraversa tutta, il suo fiume, lo Smilzone, piccolo oppure grande a seconda delle diverse condizioni del tempo metereologico, volano in santa pace “aironi lenti, rondini in caccia, uccelli migratori” e solo molto più in alto si intravedono “le scie polverose degli aerei”, il segno della nostra contemporaneità.
Lo Smilzone avrà un ruolo importante nel secondo libro. In questa prima presentazione è solo un biscione tranquillo, che può trasformarsi in un drago nei giorni di grandi piogge.»
La Vallesmilza entra nel racconto non solo per i suoi aspetti geografici, ma anche per le sue tradizioni, di cui fanno parte le sue leggende. Il compagno di avventura di Marì è Buffardello, un omino magico del folclore lunigianese.
C’è poi un altro personaggio delle leggende locali, un antagonista di Marì e dei suoi amici, che darà loro notevoli preoccupazioni: personaggio inquietante, di cui non rivelo l’identità per non togliere ai lettori la sorpresa.
E poi ci sono i Passatidilà, i morti della processione dell’Andura.
La ricerca antropologica sulle tradizioni lunigianesi ci informa che, secondo una credenza popolare, quando arriva il giorno dei morti, tutti i defunti tornano nella Valle in corteo, il corteo dell’Andura, e si dirigono alle loro abitazioni di un tempo, ne riprendono il possesso per quella giornata. I vivi per questo motivo escono di casa la mattina e ci ritornano la sera, lasciando ai propri congiunti defunti il pieno possesso dei loro antichi luoghi di vita.
Nel racconto, invece, la processione si svolge ogni mese, quando la luna è piena. E Marì se la trova davanti all’improvviso, una notte d’estate.
Chissà che paura si prova a incontrare il corteo dei Morti, mi dicevo tra me vedendo questa scena scorrere davanti ai miei occhi, dentro alla mia immaginazione: io scapperei subito!
Marì però è più coraggiosa di me, si avvicina e li affronta.
E scopre così che i Morti non sono così tremendi come si pensa! Sì, forse qualcuno lo potrà anche essere, ma quasi tutti sono miti e desiderosi di aiutare i loro discendenti, con consigli e una visione diversa delle cose …
Così i percorsi dei vivi si intrecciano con quelli dei morti, nel ricordo, nella consapevolezza che ciò che abbiamo intorno, nel bene e nel male, lo abbiamo ricevuto da quelli che ci hanno preceduto, che ci hanno aperto la strada.
Questo ci fa capire che anche noi stiamo aprendo strade per quelli che verranno, costruttive o distruttive: le nostre azioni non sono insignificanti, hanno un seguito, un peso nel futuro.
Credo che sia molto importante fare questo passo, confrontarsi anche coi Morti, ascoltare le loro storie, chiedere consiglio a loro che hanno già vissuto. Ci sono i loro documenti a testimoniarlo, le lettere, i libri scritti da loro, i ricordi tramandati, da un certo momento in poi anche le loro fotografie e i filmati…
La terra che calpestiamo è piena delle impronte del passato, così ci è stata data, nel bene e nel male. Ci si impoverisce a ignorarlo, a dimenticarlo …»
Quando ero piccola, non pensavo mai alla morte. O meglio, qualche volta sì. Perché, dentro a giornate spensierate oppure tutte concentrate sulla scuola, qualche volta all’improvviso mi veniva addosso questo pensiero della morte, la morte mia o dei miei cari, come un enorme pipistrello nero che copriva tutto l’orizzonte con le sue ali, e allora per me era angoscia. Ma, con grande mia desolazione, non ne potevo parlare con nessuno, quello della morte era un argomento che non si toccava nelle nostre conversazioni, i grandi ci volevano proteggere da questo pensiero.
Non credo che fosse giusto. Non si protegge dalla morte un essere umano, per piccolo che sia, impedendogli di parlarne. Perché la morte si affaccia in molti modi nella nostra vita, e sempre ci accompagna, a volte in modo invisibile e discreto, magari come un pensiero pauroso, o con le notizie del telegiornale, a volte si presenta imprevista nei nostri giorni, come una violenta esplosione distruttrice.
È molto meglio introdurre la sua conoscenza, per quanto sia possibile conoscere qualcosa che di per sé è tremendo. Le antiche tradizioni ci vengono in aiuto, ci ricordano che i bambini non venivano completamente esclusi dal contatto coi loro parenti morti, anzi venivano accompagnati a questa conoscenza … anche in questo caso dobbiamo imparare dal passato, rivisitandolo con le nuove consapevolezze del presente.
Naturalmente il discorso della morte è legato a quello che viene dopo la morte … per me la morte non è la fine di tutto … questa non è un precetto vincolante, è la mia posizione personale: non credo che un fenomeno così complesso e misterioso come la coscienza, col suo corredo di affetti, si possa annullare in modo definitivo. D’altra parte, anche credere che la morte annulli tutto è appunto un credo, come ha dimostrato in modo inequivocabile un grande pensatore che si chiama Immanuel Kant. Ma qui il discorso si fa un po’ complicato.
«Perché avevo voglia di alberi, di verde sconfinato e un po’ selvatico! Quello che mi ricordava la mia infanzia nella pianura! La pianura della mia infanzia era coltivata in modo naturale, con la sapienza della tradizione, e conservava ancora molti luoghi incontaminati. Purtroppo col trascorrere del tempo incontaminata non lo è stata più.
Ho vissuto tanti anni a Milano, i primi anni con tanto entusiasmo, anche se sentivo l’aria pesante della città e mi turavo un po’ il naso per non respirare lo smog. Avevo lasciato il paesello, ero finalmente nella grande metropoli piena di vita!
Negli anni però quell’entusiasmo si è smorzato: la città sa essere emotivamente fredda, a volte perfino inospitale! Come Marcovaldo nei racconti di Italo Calvino, mi sbirciavo sempre più alla ricerca del verde nei rari parchetti della città: mi sedevo sulle panchine all’ombra di tigli o di ippocastani secolari e attraverso i loro rami guardavo il cielo.
Per molti di quelli che vivono controvoglia in campagna gli alberi diventano trasparenti. E anche il cielo. Non contano. Gira però un’aria nuova.
È una bellissima iniziativa quella di piantare alberi! Globalmente vuol dire ridare fiato al Pianeta soffocato dal CO². Localmente vuole dire invertire una tendenza a provare scarso interesse per l’ambiente che ci circonda e ci aiuta a metterci in gioco per salvare dallo stravolgimento o dall’abbandono i nostri luoghi di origine.
Anche Marì, la protagonista delle mie “Storie di Marì di Vallesmilza” ama gli alberi, lei addirittura ci parla! Forse perché, provenendo da Stramonio non ha le nostre limitazioni mentali, trova naturale quello che noi non sappiamo più pensare possibile, e che invece i nostri lontanissimi antenati, o almeno alcuni di essi, i “maghi-guaritori”, praticavano: una comunicazione empatica e profonda con la natura, da cui trarre conforto e guida.»
«In effetti Marì, come abbiamo già visto, ha una naturale fiducia verso tutti i viventi, e soprattutto li mette alla prova prima di giudicarli.
Un esempio è il suo rapporto con Buffardello»
«Buffardello, come tutti i buffardelli, è marchiato dai pregiudizi: secondo il parere comune, questi omini della foresta non sono veramente pericolosi, ma non sono nemmeno solidali con gli uomini, anzi, sono così fastidiosi da essere quasi dannosi: fanno piangere i bambini nelle culle, affaticano il respiro ai dormienti, rendono inquieti i cavalli e il bestiame, si divertono a intrecciare le loro criniere. Viene voglia di scacciarli!
Quando Marì chiede a Cella informazioni su di lui, lei le dice che i buffardelli sono rustici, gelosi della loro solitudine e sono dispettosi con gli uomini, perché li considerano invasori dei loro territori… ma che qualche volta si dimostrano generosi.
In effetti il primo impatto di Marì con il suo amico non è dei migliori, sembra dare ragione alle dicerie … ma lei non si lascia impressionare.
Conoscendolo, infatti, scopre una realtà diversa: Buffardello ha un bel caratterino, è pungente e un po’ vanitoso, spesso impertinente, ma ha un animo buono e generoso, solidale, capace di sfidare pericoli per amicizia. È lui che per primo individua il dramma che si sta abbattendo sulla Valle, è lui che subito si mette in moto per salvarla.
Ecco un dialogo significativo tra i due:
«Toglimi una curiosità, Buffy. Posso chiamarti così per risparmiare tempo? Tu non sei in rotta con gli uomini? Perché ti preoccupi per loro?». «Caccolina, a chi li faccio i miei dispettucci, se gli uomini scompaiono dalla Valle? Non c’è più gusto! Ormai sono passati secoli di tira e molla tra di noi, io ho bisogno di loro per divertirmi e loro hanno bisogno di me, delle mie capriole e dei miei scherzi per essere più vivi, anche se non lo ammetterebbero mai! Non hanno molta fantasia!» (p. 30)
Buffardello non solo si dà da fare per salvare la Valle, proteggendo sempre le sue nuove amiche Marì e Teresita, ma stimola gli umani alla giocosità, le sue capriole sono uno sberleffo alla eccessiva seriosità, a una vita basata solo sull’interesse economico.
L’assenza dei buffardelli denuncia un impoverimento della capacità di ascoltare liberamente le voci della fantasia. E non è un caso che Buffardello ricompaia proprio a Marì, che invece mantiene la tendenza di stupirsi delle cose che la circondano, che crede nel linguaggio della fantasia, che è empatica, che sa sognare»
Teresita è una biondina alta ed esile, timida e riservata. Marì, conoscendola, scopre che non esce mai di casa, se non per il lavoro, e che non ha amiche.
Sembra un personaggio scialbo, di poco conto, sempre timorosa di tutto, sempre in secondo piano, alle spalle della intraprendente Marì e del simpatico Buffardello.
Però Luni, la Voce della Luna, la sceglie come sua prediletta: «E tu, Teresita, che tieni tra le mani le corna lunate della mia evocatrice, sei piena di poesia e sensibilità, devi solo credere un po’ di più nelle tue capacità, che sono tante e belle». E proprio a lei Luni dona la speciale pietra di luna.
In effetti è soprattutto Teresita che, nel primo libro, avvia dentro di sé un vero cambiamento: affronta le sue paure, con molte esitazioni, è vero, ma lentamente comincia a superarle. Si apre alla confidenza con l’amica, accetta di partecipare alla sua grande avventura, la affronta fino in fondo.
Poi, attraverso lo spettacolo teatrale realizzato con i ragazzi di Busaltica, sperimenta le sue doti di attrice e scopre la sua vena artistica. Conosce nuovi modi di rapportarsi agli altri, incomincia a progettare cambiamenti nel suo lavoro ... Il suo itinerario ci insegna a credere in noi stessi, a non disperdere le nostre potenzialità per il timore di non riuscire a realizzare i nostri sogni: abbiamo il dovere di provare!
Quindi non scoraggiamoci se ci sembra di essere un po’ “insipide”: forse siamo solo delle Teresite in attesa.
«Lo spettacolo teatrale già di per sé dà modo ai ragazzi di mettersi in gioco, ma certamente il suo “cuore” è la colletta del tempo. Quella di raccogliere ore da destinare alla comunità per fini benefici non è una idea originale, forse lo è il nome “colletta”, ma il fatto che sia originale o no ha scarsa importanza.
Importa invece il fatto di rimettere in primo piano la comunità, come qualcosa di cui abbiamo responsabilità. Questo legame si è molto affievolito in una società individualista come la nostra. Bisogna riscoprirlo.
«La cantina in ogni casa è molto importante: è il deposito delle sue provviste (marmellate e conserve, frutta, verdure), degli attrezzi, e anche delle cose temporaneamente scartate, che però è meglio non buttare, perché non si sa mai! Quindi ha il compito di custodire le piccole ricchezze della casa.
Contiene però anche una parte buia, inesplorata, quella che Marì non vuole ancora affrontare: è il luogo della paura, dice il racconto.
Bisogna spiegare meglio questa definizione. Quel luogo buio, inesplorato, racchiude tutte le paure e le angosce legate al passato di Marì, al rapporto coi suoi genitori, a quello che è successo a Stramonio e che lei non conosce, ma contiene anche le inquietudini che a volte prendono noi esseri umani, spesso senza motivi apparenti: un senso vago o invadente di minaccia, la paura della morte o della sofferenza, la paura di un attacco, di una aggressione … e anche i timori legati al futuro: Marì ora non ci pensa troppo, ma se ci pensa non sa cosa le riserverà …
Ora dico una cosa un po’ da prof.: in termini psicoanalitici potrebbe rappresentare l’inconscio, il grande deposito delle nostre esperienze vissute, che secondo Jung le travalica e si estende addirittura alla memoria di tutta la specie umana, e che quindi ci lega al resto dell’umanità: lui lo chiama l’inconscio collettivo. Comunque, teorie a parte, ci siamo capiti, credo.
Prima o poi questo luogo oscuro lo dobbiamo affrontare, dobbiamo vincere o almeno addomesticare quelle paure, superarle, se vogliamo crescere. Quindi è un luogo molto importante, soprattutto nel terzo libro (mannaggia, mi è scappato … in effetti, c’è l’idea di un terzo libro, ma doveva restare un segreto! Non ditelo a nessuno!)
La soffitta è il luogo dell’immaginare, del progettare, del conoscere, del sognare. È il luogo di cova di Marì, dove lei, leggendo, pensando, fantasticando, progettando, elabora il suo modo personale di vedere il mondo, nel presente e nel futuro. E, in base ai suoi pensieri, prende decisioni …
La stanza di mezzo è la stanza del calduccio della stufa, della pasta al forno, delle torte, delle marmellate … non dimentichiamo che a Marì piace cucinare. È il posto dove dormicchiare sul divano-letto, col gatto Bibo sdraiato accanto, ma anche quello in cui accogliere l’amica Teresita e le altre persone che la vengono a trovare. È il luogo in cui si svolge la vita quotidiana nella sua routine, le solite cose che rispondono ai nostri bisogni più immediati e confortano la nostra esistenza.
Bene, ci sarebbero sicuramente altre cose da dire, ma il tempo stringe, abbiamo già chiacchierato a lungo! Ti auguro con tutto il cuore che questa storia abbia successo e sia conosciuta da tanti giovani, ragazze e ragazzi. E anche dagli adulti. E aspettiamo la prosecuzione …
Ti ringrazio, mi hai dato la possibilità di spiegare meglio ai miei lettori e anche ai semplici curiosi le stratificazioni che ci dietro una storia, anche la più semplice.
In questa storia io ci credo molto, spero davvero che diffonda un messaggio costruttivo, un invito alla fiducia e alla responsabilità. E altre storie bollono in pentola, in attesa.